NO ALL’UTERO IN AFFITTO
NO ALLA COMPRAVENDITA DI BAMBINI
NO ALLO SFRUTTAMENTO DELLE DONNE POVERE
• L’utero in affitto è l’emblema della sopraffazione del mercato sull’umano. Il suo carattere mercantile, oltre che rappresentare un autentico tradimento dei diritti dei bambini, è l’esaltazione del business, un lusso per ricchi a scapito della dignità delle donne più povere. Attualmente in Italia la surrogazione di maternità è vietata, ma per i cittadini italiani è legale ricondurre in Italia i figli e le figlie avuti attraverso questa pratica all’estero.
• Sul web si moltiplicano le organizzazioni che offrono, dietro lauto pagamento, la compravendita di bambini. In molti Paesi, come Russia, Ucraina, Stati Uniti, Grecia, la legislazione permette l’uso di questa tecnologia riproduttiva. Così, da una parte, cresce il turismo procreativo delle coppie italiane, dall’altra crescono le migrazioni dei medici made in Italy che aprono studi all’estero.
• Ancora una volta, in barba a qualsiasi valore etico, c’è chi si sta organizzando per arricchirsi, tanto per cambiare, sulla pelle delle donne e, cosa ancora più odiosa, di quelle più povere. Anche il linguaggio – l’antilingua insegna – si adegua: si parla di “programma di surrogazione” di “genitori-committenti”.
• La madre surrogato, spesso scelta in un Paese lontano, non ha nessun legame genetico con il bambino che metterà alla luce: si presta a portare in grembo i figli altrui per disperazione, usata come contenitore e pagata (miseramente) per l’affitto concesso, naturalmente detratto quanto spetta alla struttura che l’ha accuratamente ‘selezionata’. In India, a causa dell’estrema povertà, i giornali sono pieni di annunci di uteri in affitto. In crescita anche i contenziosi: un bimbo nato dall’utero in affitto può essere conteso tra chi lo ha voluto e chi ha accettato la gravidanza?
• Non contano i tratti fisici della donna utilizzata come incubatrice, ciò che conta è che sia una ‘portatrice sana’ e che venga ben nutrita e controllata nel suo stato di salute durante i nove mesi di affitto, che il più delle volte sarà costretta a passare in una struttura protetta, lontana dalla sua famiglia per evitare rischi di qualsiasi tipo di contagio… poi, dopo, può anche sparire e ritornare alla sua grama vita. Anzi, deve sparire.
• Tra i servizi offerti dalle organizzazioni, oltre alla scelta della madre surrogata, è prevista, infatti, anche l’assistenza legale per la stipula del contratto: ovvio, perché bisogna pure mettere al riparo i vari ‘committenti’ dal rischio che la ‘donna-incubatrice’, dopo aver per nove mesi condiviso totalmente la sua vita con quella creatura, abbia ripensamenti: sarebbe disdicevole… Chi è madre può capirlo profondamente: è molto meno doloroso disfarsi di un rene che affittarsi l’utero: il rene non lo immagini, col rene non ci parli, non lo accarezzi, non respiri e non sogni con lui per 9 mesi!
• Dinanzi ad una tale mercificazione del corpo della donna, dinanzi a siffatta odiosa pratica di schiavitù femminile tutti, uomini e donne, dovremmo insorgere, ma in particolar modo le donne, perché ci riguarda direttamente.
• È una battaglia di civiltà, una frontiera etica insuperabile, che speriamo possa vederci tutte unite: donne di ogni credo e parte politica, libere dall’ideologia che spesso offusca la mente, donne intellettualmente oneste decise a combattere a fianco di quelle che non hanno voce.
PER QUESTI MOTIVI
• intendiamo opporci in ogni sede, nazionale ed internazionale alla disumana pratica dell’utero in affitto, che, oltre che compromettere l’integrità fisica delle donne e i diritti del bambino, aumenta lo sfruttamento commerciale del corpo delle donne riducendo la persona a una merce;
• chiediamo maggiori garanzie per i diritti delle donne, in particolare per quelle più vulnerabili e povere che vivono nei paesi in via di sviluppo, ritenendo che la pratica dell’utero in affitto debba essere affrontata con l’ausilio di strumenti legislativi internazionali per la protezione dei diritti umani.
NO ALL’UTERO IN AFFITTO
NO ALLA COMPRAVENDITA DI BAMBINI
NO ALLO SFRUTTAMENTO DELLE DONNE POVERE
• L’utero in affitto è l’emblema della sopraffazione del mercato sull’umano. Il suo carattere mercantile, oltre che rappresentare un autentico tradimento dei diritti dei bambini, è l’esaltazione del business, un lusso per ricchi a scapito della dignità delle donne più povere. Attualmente in Italia la surrogazione di maternità è vietata, ma per i cittadini italiani è legale ricondurre in Italia i figli e le figlie avuti attraverso questa pratica all’estero.
• Sul web si moltiplicano le organizzazioni che offrono, dietro lauto pagamento, la compravendita di bambini. In molti Paesi, come Russia, Ucraina, Stati Uniti, Grecia, la legislazione permette l’uso di questa tecnologia riproduttiva. Così, da una parte, cresce il turismo procreativo delle coppie italiane, dall’altra crescono le migrazioni dei medici made in Italy che aprono studi all’estero.
• Ancora una volta, in barba a qualsiasi valore etico, c’è chi si sta organizzando per arricchirsi, tanto per cambiare, sulla pelle delle donne e, cosa ancora più odiosa, di quelle più povere. Anche il linguaggio – l’antilingua insegna – si adegua: si parla di “programma di surrogazione” di “genitori-committenti”.
• La madre surrogato, spesso scelta in un Paese lontano, non ha nessun legame genetico con il bambino che metterà alla luce: si presta a portare in grembo i figli altrui per disperazione, usata come contenitore e pagata (miseramente) per l’affitto concesso, naturalmente detratto quanto spetta alla struttura che l’ha accuratamente ‘selezionata’. In India, a causa dell’estrema povertà, i giornali sono pieni di annunci di uteri in affitto. In crescita anche i contenziosi: un bimbo nato dall’utero in affitto può essere conteso tra chi lo ha voluto e chi ha accettato la gravidanza?
• Non contano i tratti fisici della donna utilizzata come incubatrice, ciò che conta è che sia una ‘portatrice sana’ e che venga ben nutrita e controllata nel suo stato di salute durante i nove mesi di affitto, che il più delle volte sarà costretta a passare in una struttura protetta, lontana dalla sua famiglia per evitare rischi di qualsiasi tipo di contagio… poi, dopo, può anche sparire e ritornare alla sua grama vita. Anzi, deve sparire.
• Tra i servizi offerti dalle organizzazioni, oltre alla scelta della madre surrogata, è prevista, infatti, anche l’assistenza legale per la stipula del contratto: ovvio, perché bisogna pure mettere al riparo i vari ‘committenti’ dal rischio che la ‘donna-incubatrice’, dopo aver per nove mesi condiviso totalmente la sua vita con quella creatura, abbia ripensamenti: sarebbe disdicevole… Chi è madre può capirlo profondamente: è molto meno doloroso disfarsi di un rene che affittarsi l’utero: il rene non lo immagini, col rene non ci parli, non lo accarezzi, non respiri e non sogni con lui per 9 mesi!
• Dinanzi ad una tale mercificazione del corpo della donna, dinanzi a siffatta odiosa pratica di schiavitù femminile tutti, uomini e donne, dovremmo insorgere, ma in particolar modo le donne, perché ci riguarda direttamente.
• È una battaglia di civiltà, una frontiera etica insuperabile, che speriamo possa vederci tutte unite: donne di ogni credo e parte politica, libere dall’ideologia che spesso offusca la mente, donne intellettualmente oneste decise a combattere a fianco di quelle che non hanno voce.
PER QUESTI MOTIVI
• intendiamo opporci in ogni sede, nazionale ed internazionale alla disumana pratica dell’utero in affitto, che, oltre che compromettere l’integrità fisica delle donne e i diritti del bambino, aumenta lo sfruttamento commerciale del corpo delle donne riducendo la persona a una merce;
• chiediamo maggiori garanzie per i diritti delle donne, in particolare per quelle più vulnerabili e povere che vivono nei paesi in via di sviluppo, ritenendo che la pratica dell’utero in affitto debba essere affrontata con l’ausilio di strumenti legislativi internazionali per la protezione dei diritti umani.